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Seconda Lezione

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1Seconda Lezione Empty Seconda Lezione Lun Dic 06, 2010 12:30 am

Admin


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I parlanti neoaramaico.
Un popolo alla ricerca di una lingua unita e unificante
Fabrizio A. Pennacchietti
Università di Torino
fabrizio.a.pennacchietti@gmail.com
1. La lingua siriaca è come il latino e il greco una tra le più prestigiose e diffuse lingue letterarie e liturgiche
del mondo cristiano. Se il latino rappresenta il fulcro dell’identità culturale del mondo romanogermanico
(si
veda l’alfabeto latino) e il greco l’essenza dell’identità ellenicoslava
(si vedano gli alfabeti greco e cirillico), il
siriaco ha informato di sé tutte le culture cristiane dell’Asia, dall’India fino alla Cina, come testimoniano gli
alfabeti non più ‘cristiani’ mongolo, mancese e sibo. Questa lingua semitica deriva da un dialetto aramaico che
è divenuto la lingua ufficiale del regno dell’Osroene. Regno vassallo dell’Impero Romano, l’Osroene si
estendeva nell’alta Mesopotamia ed era dominata dalla dinastia araba degli Abgaridi. I cristiani della città di
Urhay, la loro capitale che i Macedoni e i Romani chiamavano Edessa (attualmente Şanlı Urfa, nella Turchia
sudorientale),
ebbero il merito di tradurre nella loro lingua l’Antico e il Nuovo Testamento, la cosiddetta
Peshitta. In questo modo l’aramaico locale, il siriaco appunto, divenne di fatto la lingua scritta di tutte le chiese
non solo del Medio Oriente sottomesso a Roma, ma anche dell’Impero Persiano, prima partico e poi sasanide,
nonché delle chiese del mondo islamico orientale e delle comunità cristiane iraniche, turche e mongole
dell’Asia Centrale e dravidiche dell’India meridionale.
L’imponente produzione letteraria in lingua siriaca copre un arco di tempo che va dal II sec. d.C. fino al XIV
sec., ma in siriaco si continua a scrivere tuttora, sebbene esso non sia più la lingua madre di nessuno. La
letteratura e la lingua siriaca sono pertanto oggetto di ricerca da parte di un folto numero di studiosi
accademici. Essi si incontrano in occasione di congressi scientifici internazionali, i più importanti dei quali
sono per l’Europa il Symposium Syriacum (l’ultimo, il decimo, ha avuto luogo a Granada il 22-24.09.2008),
per l’America il North American Syriac Symposium (il più recente, il quinto, ha avuto luogo a Toronto 25-27.06.2007),
e per l’Asia la Syriac Conference di Kottayam, Kerala, India (la prossima, la settima, avrà luogo
l’8-16.09.2010).
Oltre ai congressi scientifici a cui abbiamo accennato, l’interesse per la lingua siriaca e in misura minore per la
sua letteratura trova spazio in convegni organizzati da associazioni culturali o politiche quali il Syriac Union
Party (Libano), la Syriac Universal Alliance (Stati Uniti) ed altre ancora nella cui denominazione l’aggettivo
“siriaco” si alterna con “aramaico” e addirittura con “assiro”, “caldeo” o “assirocaldeo”.
Si tratta del modo in
cui si definiscono etnicamente gli intellettuali delle comunità che parlano aramaico ancora ai nostri giorni.
Dialetti aramaici vengono infatti tuttora parlati sia nel Medio Oriente sia nella diaspora in tutti i continenti.
A parte una minuscola comunità in parte cristiana e in parte musulmana, originaria dell’Antilibano siriano, che
si esprime nel cosiddetto ‘neoaramaico
occidentale’, e un numero ancora più ristretto di parlanti il cosiddetto
‘neoaramaico
sudorientale’,
originari dell’Iraq meridionale e del contiguo territorio iraniano che si affaccia
sul basso Tigri e sullo Shatt al‘
Arab (praticano il Mandeismo, una singolare religione monoteista, erede della
tradizione spirituale babilonese), hanno come lingua madre forme di aramaico moderno da un lato i cristiani
originari del governatorato turco (vilâyet) di Mardin (Turchia sudorientale
al confine con la Siria), dall’altro
tutti i cristiani e gli ebrei originari dei territori situati più ad oriente, in Turchia, Siria, Iraq e Iran.
I primi, ossia i cristiani del territorio di Mardin, si esprimono in un dialetto definito ‘neoaramaico
centrale’ e
afferiscono in massima parte alla Chiesa SiroOrtodossa
(detta anche Giacobita) con patriarca residente a
Damasco; i secondi invece parlano vari dialetti definiti ‘neoaramaici
nordorientali’,
a volte non mutuamente
comprensibili. Gli arameofoni cristiani di questo vasto territorio afferiscono in buona parte alla Chiesa
dell’Oriente (erede della chiesa autocefala dell’Impero persiano partico e sasanide), nota anche come Chiesa
Nestoriana, oppure al ramo di tale chiesa che a partire dal XVI sec. si è progressivamente avvicinata a Roma
assumendo il nome di Chiesa Cattolica Caldea. Coloro che hanno raggiunto il più alto grado di consapevolezza
della propria specificità storica, linguistica e culturale sono i ‘Nestoriani’, in particolare i discendenti di sei
tribù montanare che fino alla Prima Guerra Mondiale vivevano in una zona impervia del Kurdistan ottomano (il governatorato turco di Hakkâri) godendo degli stessi diritti dei Curdi, loro vicini musulmani, compreso
quello di portare le armi, privilegio da cui per principio erano esclusi sia i cristiani che gli ebrei. I ‘Caldei’ al
contrario sono in maggior parte ‘arabizzati’ nel senso che molti di loro hanno adottato l’arabo come lingua
madre, pur mantenendo con vigore la propria identità di Cristiani.
2. Torniamo ora ai vari modi in cui definiscono se stessi e la propria lingua madre i Cristiani di oggi giorno la
cui lingua liturgica è il siriaco. Gli aggettivi che passeremo in rassegna sono ‘aramaico’, ‘siro’ o ‘siriaco’,
‘assiro’, ‘caldeo’ o ‘assirocaldeo’.
L’aggettivo ‘aramaico’ connota in primo luogo un “continuum” di dialetti semitici originari della steppa ad
oriente e ad occidente dell’Eufrate che sono emersi all’inizio del I millennio a.C. sul solco delle parlate
amorree del II millennio della zona. Un numero consistente di isoglosse innovative e di peculiari tratti
conservativi sono sufficienti a contraddistinguere questo “continuum” sotto il profilo fonologico, morfologico
e lessicale.
Aram era probabilmente il nome totemico (“gli Arieti”) di una tribù dominante tardoamorrea.
Adottato e
adeguato alla propria fonologia l’alfabeto fenicio, l’aramaico emerge in diverse varianti come lingua scritta di
vari stati indipendenti della Siria, per esempio del regno di Damasco citato nell’Antico Testamento, e diventerà
la seconda lingua amministrativa dell’impero neoassiro
e di quello neoe
tardo babilonese, fino ad assurgere
alla dignità di unica lingua della cancelleria dell’immenso impero persiano achemenide. Sostituitosi al fenicio
e all’ebraico, l’aramaico diventerà la lingua madre degli ebrei e dei cristiani del Medio Oriente asiatico.
L’aggettivo ‘siro’ o ‘siriaco’. Per i Cristiani del Medio Oriente la denominazione ‘aramaico’ ha presto assunto
il connotato negativo di “pagano”. Di conseguenza essi preferirono definirsi Suryaye, aggettivo gentilizio
derivato dal coronimo ellenico Syria. Con esso i Greci, probabilmente a partire dall’VIII sec. a.C., chiamavano,
con la caduta della Ainiziale,
la provincia più occidentale la
Siria appunto dell’impero
di Assur (Ashshūr)
ovvero dell’Assiria. In italiano Suryaye come sostantivo si traduce normalmente ‘Siri’, mentre la loro lingua
liturgica viene tradizionalmente chiamata ‘siriaco’ per distinguerla da ‘siriano’, aggettivo riferito allo stato
arabo della Siria. Fino alla Prima Guerra Mondiale la totalità degli arameofoni si definivano prevalentemente
Suryaye ovvero Siri.
L’aggettivo ‘assiro’ (in inglese Assyrian), diffusissimo nelle pubblicazioni di una parte rilevante degli
arameofoni dei nostri giorni, nasce da un giustificabile equivoco. Le popolazioni cristiane di lingua aramaica
della Mesopotamia attualmente siriana ed irachena sono sempre state chiamate dal vicini Armeni con il
termine di Asori ovvero ‘Assiri’. Ciò dipende dal fatto che gli Armeni, a lungo influenzati dalla cultura iranica,
erano al corrente del fatto che, in epoca preislamica, il potere sasanide definiva impropriamente Asorestan
(‘Paese degli Assiri’) tutta l’area di Babilonia e di SeleuciaCtesifonte.
Gli Armeni definivano pertanto Asori i
Cristiani di lingua aramaica originari dalla Mesopotamia irachena. Lo stesso peraltro fanno attualmente i
Persiani con il termine Āsūrī. Questa designazione è stata trasmessa ai Russi, i quali almeno fino alla 1a Guerra
Mondiale hanno chiamato gli arameofoni emigrati nell’impero zarista Ajsory e la loro lingua ajsorskij.
Le scoperte archeologiche inaugurate a Nimrud nel 1845 da sir A.H. Layard e la conseguente nascita
dell’assiriologia non tardarono però a far emergere nei Cristiani di lingua neoaramaica
del nord dell’Iraq la
coscienza di discendere dagli antichi Assiri e di essere pertanto i legittimi eredi di un territorio di cui, in tempi
lontani, sarebbero stati espropriati per mano dei Curdi e degli Arabi. Va detto che la maggior parte degli operai
locali che parteciparono ai lavori di scavo delle missioni archeologiche straniere nell’area di Mosul era
composta da Cristiani arameofoni. Fu riesumato proprio in quegli anni l’aggettivo siriaco aturaya ‘assiro’ che
fino ad allora era riferito esclusivamente alla diocesi nestoriana di Mosul. Una nuova consapevolezza maturò,
facendosi prima etnica, poi nazionalistica, soprattutto tra gli intellettuali arameofoni di Urmia. In questa città
dell’Azerbaigian iraniano il dialetto aramaico locale era intanto diventato una lingua scritta letteraria, grazie ai
missionari protestanti inglesi e americani che vi avevano tradotto l’Antico e il Nuovo Testamento. I missionari
introdussero in Iran le prime macchine tipografiche del paese e, pur occupandosi di pubblicazioni religiose,
favorirono lo sviluppo di una stampa laica in lingua aramaica e la crescita di una mentalità aperta alle istanze
del contemporaneo mondo occidentale.
È vero che in alcune lingue, come l’arabo moderno e il neopersiano,
esistono due termini differenti per
distinguere gli antichi Assiri dai cosiddetti ‘Assiri’ moderni, i discendenti degli abitanti dell’Asorestan dei
Sasanidi: si veda per esempio arabo e persiano Āshūrī, ma anche il russo Assirìec “(antico) Assiro” in opposizione ad arabo Āthūrī, persiano Āsūrī e russo Aysor “Siro di Mesopotamia”. È un fatto, comunque, che
attualmente nelle lingue europee, dal russo all’inglese, il termine equivalente ad (antico) Assiro viene
comunemente impiegato anche per designare quella relativamente grossa porzione di Siri che rivendicano un
glorioso passato imperiale, quello appunto degli antichi Assiri. I nuovi ‘Assiri’ approfittano di questa
ambiguità terminologica per proporre una loro narrazione nazionalistica e per rivendicare i propri diritti
politici e culturali.
Anche l’aggettivo ‘caldeo’ ha una storia relativamente recente, poiché è stato motivato dall’esigenza di
distinguere con un antico nome mesopotamico, nobilitato dall’essere citato nell’Antico Testamento, il ramo
della Chiesa dell’Oriente che si è unita a Roma. Attualmente, sotto la spinta dei movimenti politici ‘assiri’ di
matrice confessionale nestoriana, la Chiesa Cattolica Caldea ha assunto nella diaspora la denominazione di
‘Chiesa Cattolica di Rito AssiroCaldeo’.
3. Fatta questa premessa, è opportuno rilevare quanto divergano tra di loro la narrazione identitaria dei Siri
nestoriani da quella dei Siri giacobiti, per quanto i movimenti politici che li rappresentano condividano gli
stessi obbiettivi. Questi sono: riunire gli arameofoni cristiani del Medio Oriente e della diaspora, superando le
tradizionali divisioni confessionali; preservarne il patrimonio linguistico e culturale contro il tentativo dei
governi di assimilarli (arabizzazione, turcizzazione, curdizzazione, islamizzazione), e adoperarsi al fine di
realizzare in Medio Oriente l’utopia di un’entità territoriale autonoma per gli arameofoni.
La differenza tra i Siri nestoriani, ovvero gli ‘Assiri’, e i Siri giacobiti appare già evidente nei simboli in cui
essi si riconoscono. Gli ‘Assiri’ si sono ovviamente confezionati una bandiera nazionale ispirata all’antica
ideologia imperiale assira: un piccolo globo d’oro inserito in una stella blu a quattro punte, rivolte verso i punti
cardinali, al centro di un campo bianco. Dal globo, rivolti verso i punti cardinali intermedi, si sciolgono quattro
nastri blubiancorossi
che simboleggiano i mitici quattro fiumi Tigri, Eufrate, Ghihon e Pison. Per contro i
movimenti politici o culturali dei Siri giacobiti, ma anche dei Maroniti e del Melkiti (si vedano la Syriac
Universal Alliance, il Syriac Union Party, l’Aramean Democratic Organization, l’Aramaean Unity ecc.) hanno
adottato come loro emblema un aureo disco solare alato su un campo rosso e giallo. Si tratta di un simbolo
della regalità che gli Ittiti presero in prestito dall’Egitto faraonico e che trasmisero ai regni aramei anteriori
all’espansione assira.
Da una parte, dunque, si enfatizza, anche iconograficamente, una fittizia tradizione antico assira, dall’altra ci si
rifiuta di identificarsi con l’antico potere invasore e si rivendica il passato della lega aramea antiassira.
A
questo fine, al termine ‘Assiro’ (Assyrian) viene preferita la tradizionale denominazione di Siro (Syriac)
oppure si recupera il desueto appellativo Arameo (Aram(a)ean).
Per quanto riguarda la futura lingua comune della sognata ‘nazione aramaica’ che si vuole ricostituire (“a
United State of Aram in the Middle East”) gli statuti dei singoli partiti sono alquanto reticenti. Si legge per
esempio che «the Aramaic language, the spoken language of Jesus Christ, is the official language of the
Aramaean nation and its future land». Ma quale ‘lingua aramaica’? Gli ‘Assiri’ ovviamente promuovono
come lingua comune la loro koinè letteraria che si è sviluppata nell’Azerbaigian iraniano sulla base del dialetto
(neoaramaico
nordorientale)
di Urmia. Essa è scritta in caratteri aramaici, in un tipico alfabeto siriaco
orientale. I Siri giacobiti, il cui dialetto (neoaramaico
centrale) non è mai stato scritto, propongono al contrario
come lingua comune il siriaco classico, scritto nel tipico alfabeto siriaco occidentale, detto serto, e pronunciato
all’‘occidentale’ ossia con una particolare resa delle vocali diversa da quella in uso in oriente, presso i
Nestoriani e i Caldei. Si ripropone così una diglossia di tipo arabo. Nel parlato si usi il dialetto aramaico locale,
nello scritto ci si valga della lingua della liturgia e dell’antica letteratura. Il sogno è quello che la lingua scritta
venga un giorno adottata anche come lingua parlata quotidiana. Un progetto ambizioso di questo genere è a
nostro avviso irrealizzabile. Le lingue ufficiali di entità politiche territoriali sono notoriamente degli ex dialetti
che hanno avuto alle spalle la potenza persuasiva di un esercito o semplicemente di un movimento armato non
ancora ufficialmente riconosciuto. Con grande realismo in Svezia, per le scuole elementari dei figli degli
immigrati giacobiti, il governo ha deciso di non servirsi del siriaco classico e di promuovere invece a lingua
scritta il dialetto neoaramaico
centrale. Parte del materiale scolastico è stato redatto in questa nuova lingua,
che viene scritta in caratteri latini.
4. Proprio a Mardin, che è una città d’arte della Turchia sudorientale,
quasi al confine con la Siria, e che è opposizione ad arabo Āthūrī, persiano Āsūrī e russo Aysor “Siro di Mesopotamia”. È un fatto, comunque, che
attualmente nelle lingue europee, dal russo all’inglese, il termine equivalente ad (antico) Assiro viene
comunemente impiegato anche per designare quella relativamente grossa porzione di Siri che rivendicano un
glorioso passato imperiale, quello appunto degli antichi Assiri. I nuovi ‘Assiri’ approfittano di questa
ambiguità terminologica per proporre una loro narrazione nazionalistica e per rivendicare i propri diritti
politici e culturali.
Anche l’aggettivo ‘caldeo’ ha una storia relativamente recente, poiché è stato motivato dall’esigenza di
distinguere con un antico nome mesopotamico, nobilitato dall’essere citato nell’Antico Testamento, il ramo
della Chiesa dell’Oriente che si è unita a Roma. Attualmente, sotto la spinta dei movimenti politici ‘assiri’ di
matrice confessionale nestoriana, la Chiesa Cattolica Caldea ha assunto nella diaspora la denominazione di
‘Chiesa Cattolica di Rito AssiroCaldeo’.
3. Fatta questa premessa, è opportuno rilevare quanto divergano tra di loro la narrazione identitaria dei Siri
nestoriani da quella dei Siri giacobiti, per quanto i movimenti politici che li rappresentano condividano gli
stessi obbiettivi. Questi sono: riunire gli arameofoni cristiani del Medio Oriente e della diaspora, superando le
tradizionali divisioni confessionali; preservarne il patrimonio linguistico e culturale contro il tentativo dei
governi di assimilarli (arabizzazione, turcizzazione, curdizzazione, islamizzazione), e adoperarsi al fine di
realizzare in Medio Oriente l’utopia di un’entità territoriale autonoma per gli arameofoni.
La differenza tra i Siri nestoriani, ovvero gli ‘Assiri’, e i Siri giacobiti appare già evidente nei simboli in cui
essi si riconoscono. Gli ‘Assiri’ si sono ovviamente confezionati una bandiera nazionale ispirata all’antica
ideologia imperiale assira: un piccolo globo d’oro inserito in una stella blu a quattro punte, rivolte verso i punti
cardinali, al centro di un campo bianco. Dal globo, rivolti verso i punti cardinali intermedi, si sciolgono quattro
nastri blubiancorossi
che simboleggiano i mitici quattro fiumi Tigri, Eufrate, Ghihon e Pison. Per contro i
movimenti politici o culturali dei Siri giacobiti, ma anche dei Maroniti e del Melkiti (si vedano la Syriac
Universal Alliance, il Syriac Union Party, l’Aramean Democratic Organization, l’Aramaean Unity ecc.) hanno
adottato come loro emblema un aureo disco solare alato su un campo rosso e giallo. Si tratta di un simbolo
della regalità che gli Ittiti presero in prestito dall’Egitto faraonico e che trasmisero ai regni aramei anteriori
all’espansione assira.
Da una parte, dunque, si enfatizza, anche iconograficamente, una fittizia tradizione antico assira, dall’altra ci si
rifiuta di identificarsi con l’antico potere invasore e si rivendica il passato della lega aramea antiassira.
A
questo fine, al termine ‘Assiro’ (Assyrian) viene preferita la tradizionale denominazione di Siro (Syriac)
oppure si recupera il desueto appellativo Arameo (Aram(a)ean).
Per quanto riguarda la futura lingua comune della sognata ‘nazione aramaica’ che si vuole ricostituire (“a
United State of Aram in the Middle East”) gli statuti dei singoli partiti sono alquanto reticenti. Si legge per
esempio che «the Aramaic language, the spoken language of Jesus Christ, is the official language of the
Aramaean nation and its future land». Ma quale ‘lingua aramaica’? Gli ‘Assiri’ ovviamente promuovono
come lingua comune la loro koinè letteraria che si è sviluppata nell’Azerbaigian iraniano sulla base del dialetto
(neoaramaico
nordorientale)
di Urmia. Essa è scritta in caratteri aramaici, in un tipico alfabeto siriaco
orientale. I Siri giacobiti, il cui dialetto (neoaramaico
centrale) non è mai stato scritto, propongono al contrario
come lingua comune il siriaco classico, scritto nel tipico alfabeto siriaco occidentale, detto serto, e pronunciato
all’‘occidentale’ ossia con una particolare resa delle vocali diversa da quella in uso in oriente, presso i
Nestoriani e i Caldei. Si ripropone così una diglossia di tipo arabo. Nel parlato si usi il dialetto aramaico locale,
nello scritto ci si valga della lingua della liturgia e dell’antica letteratura. Il sogno è quello che la lingua scritta
venga un giorno adottata anche come lingua parlata quotidiana. Un progetto ambizioso di questo genere è a
nostro avviso irrealizzabile. Le lingue ufficiali di entità politiche territoriali sono notoriamente degli ex dialetti
che hanno avuto alle spalle la potenza persuasiva di un esercito o semplicemente di un movimento armato non
ancora ufficialmente riconosciuto. Con grande realismo in Svezia, per le scuole elementari dei figli degli
immigrati giacobiti, il governo ha deciso di non servirsi del siriaco classico e di promuovere invece a lingua
scritta il dialetto neoaramaico
centrale. Parte del materiale scolastico è stato redatto in questa nuova lingua,
che viene scritta in caratteri latini.
4. Proprio a Mardin, che è una città d’arte della Turchia sudorientale,
quasi al confine con la Siria, e che è opposizione ad arabo Āthūrī, persiano Āsūrī e russo Aysor “Siro di Mesopotamia”. È un fatto, comunque, che
attualmente nelle lingue europee, dal russo all’inglese, il termine equivalente ad (antico) Assiro viene
comunemente impiegato anche per designare quella relativamente grossa porzione di Siri che rivendicano un
glorioso passato imperiale, quello appunto degli antichi Assiri. I nuovi ‘Assiri’ approfittano di questa
ambiguità terminologica per proporre una loro narrazione nazionalistica e per rivendicare i propri diritti
politici e culturali.
Anche l’aggettivo ‘caldeo’ ha una storia relativamente recente, poiché è stato motivato dall’esigenza di
distinguere con un antico nome mesopotamico, nobilitato dall’essere citato nell’Antico Testamento, il ramo
della Chiesa dell’Oriente che si è unita a Roma. Attualmente, sotto la spinta dei movimenti politici ‘assiri’ di
matrice confessionale nestoriana, la Chiesa Cattolica Caldea ha assunto nella diaspora la denominazione di
‘Chiesa Cattolica di Rito AssiroCaldeo’.
3. Fatta questa premessa, è opportuno rilevare quanto divergano tra di loro la narrazione identitaria dei Siri
nestoriani da quella dei Siri giacobiti, per quanto i movimenti politici che li rappresentano condividano gli
stessi obbiettivi. Questi sono: riunire gli arameofoni cristiani del Medio Oriente e della diaspora, superando le
tradizionali divisioni confessionali; preservarne il patrimonio linguistico e culturale contro il tentativo dei
governi di assimilarli (arabizzazione, turcizzazione, curdizzazione, islamizzazione), e adoperarsi al fine di
realizzare in Medio Oriente l’utopia di un’entità territoriale autonoma per gli arameofoni.
La differenza tra i Siri nestoriani, ovvero gli ‘Assiri’, e i Siri giacobiti appare già evidente nei simboli in cui
essi si riconoscono. Gli ‘Assiri’ si sono ovviamente confezionati una bandiera nazionale ispirata all’antica
ideologia imperiale assira: un piccolo globo d’oro inserito in una stella blu a quattro punte, rivolte verso i punti
cardinali, al centro di un campo bianco. Dal globo, rivolti verso i punti cardinali intermedi, si sciolgono quattro
nastri blubiancorossi
che simboleggiano i mitici quattro fiumi Tigri, Eufrate, Ghihon e Pison. Per contro i
movimenti politici o culturali dei Siri giacobiti, ma anche dei Maroniti e del Melkiti (si vedano la Syriac
Universal Alliance, il Syriac Union Party, l’Aramean Democratic Organization, l’Aramaean Unity ecc.) hanno
adottato come loro emblema un aureo disco solare alato su un campo rosso e giallo. Si tratta di un simbolo
della regalità che gli Ittiti presero in prestito dall’Egitto faraonico e che trasmisero ai regni aramei anteriori
all’espansione assira.
Da una parte, dunque, si enfatizza, anche iconograficamente, una fittizia tradizione antico assira, dall’altra ci si
rifiuta di identificarsi con l’antico potere invasore e si rivendica il passato della lega aramea antiassira.
A
questo fine, al termine ‘Assiro’ (Assyrian) viene preferita la tradizionale denominazione di Siro (Syriac)
oppure si recupera il desueto appellativo Arameo (Aram(a)ean).
Per quanto riguarda la futura lingua comune della sognata ‘nazione aramaica’ che si vuole ricostituire (“a
United State of Aram in the Middle East”) gli statuti dei singoli partiti sono alquanto reticenti. Si legge per
esempio che «the Aramaic language, the spoken language of Jesus Christ, is the official language of the
Aramaean nation and its future land». Ma quale ‘lingua aramaica’? Gli ‘Assiri’ ovviamente promuovono
come lingua comune la loro koinè letteraria che si è sviluppata nell’Azerbaigian iraniano sulla base del dialetto
(neoaramaico
nordorientale)
di Urmia. Essa è scritta in caratteri aramaici, in un tipico alfabeto siriaco
orientale. I Siri giacobiti, il cui dialetto (neoaramaico
centrale) non è mai stato scritto, propongono al contrario
come lingua comune il siriaco classico, scritto nel tipico alfabeto siriaco occidentale, detto serto, e pronunciato
all’‘occidentale’ ossia con una particolare resa delle vocali diversa da quella in uso in oriente, presso i
Nestoriani e i Caldei. Si ripropone così una diglossia di tipo arabo. Nel parlato si usi il dialetto aramaico locale,
nello scritto ci si valga della lingua della liturgia e dell’antica letteratura. Il sogno è quello che la lingua scritta
venga un giorno adottata anche come lingua parlata quotidiana. Un progetto ambizioso di questo genere è a
nostro avviso irrealizzabile. Le lingue ufficiali di entità politiche territoriali sono notoriamente degli ex dialetti
che hanno avuto alle spalle la potenza persuasiva di un esercito o semplicemente di un movimento armato non
ancora ufficialmente riconosciuto. Con grande realismo in Svezia, per le scuole elementari dei figli degli
immigrati giacobiti, il governo ha deciso di non servirsi del siriaco classico e di promuovere invece a lingua
scritta il dialetto neoaramaico
centrale. Parte del materiale scolastico è stato redatto in questa nuova lingua,
che viene scritta in caratteri latini.
4. Proprio a Mardin, che è una città d’arte della Turchia sudorientale,
quasi al confine con la Siria, e che è opposizione ad arabo Āthūrī, persiano Āsūrī e russo Aysor “Siro di Mesopotamia”. È un fatto, comunque, che
attualmente nelle lingue europee, dal russo all’inglese, il termine equivalente ad (antico) Assiro viene
comunemente impiegato anche per designare quella relativamente grossa porzione di Siri che rivendicano un
glorioso passato imperiale, quello appunto degli antichi Assiri. I nuovi ‘Assiri’ approfittano di questa
ambiguità terminologica per proporre una loro narrazione nazionalistica e per rivendicare i propri diritti
politici e culturali.
Anche l’aggettivo ‘caldeo’ ha una storia relativamente recente, poiché è stato motivato dall’esigenza di
distinguere con un antico nome mesopotamico, nobilitato dall’essere citato nell’Antico Testamento, il ramo
della Chiesa dell’Oriente che si è unita a Roma. Attualmente, sotto la spinta dei movimenti politici ‘assiri’ di
matrice confessionale nestoriana, la Chiesa Cattolica Caldea ha assunto nella diaspora la denominazione di
‘Chiesa Cattolica di Rito AssiroCaldeo’.
3. Fatta questa premessa, è opportuno rilevare quanto divergano tra di loro la narrazione identitaria dei Siri
nestoriani da quella dei Siri giacobiti, per quanto i movimenti politici che li rappresentano condividano gli
stessi obbiettivi. Questi sono: riunire gli arameofoni cristiani del Medio Oriente e della diaspora, superando le
tradizionali divisioni confessionali; preservarne il patrimonio linguistico e culturale contro il tentativo dei
governi di assimilarli (arabizzazione, turcizzazione, curdizzazione, islamizzazione), e adoperarsi al fine di
realizzare in Medio Oriente l’utopia di un’entità territoriale autonoma per gli arameofoni.
La differenza tra i Siri nestoriani, ovvero gli ‘Assiri’, e i Siri giacobiti appare già evidente nei simboli in cui
essi si riconoscono. Gli ‘Assiri’ si sono ovviamente confezionati una bandiera nazionale ispirata all’antica
ideologia imperiale assira: un piccolo globo d’oro inserito in una stella blu a quattro punte, rivolte verso i punti
cardinali, al centro di un campo bianco. Dal globo, rivolti verso i punti cardinali intermedi, si sciolgono quattro
nastri blubiancorossi
che simboleggiano i mitici quattro fiumi Tigri, Eufrate, Ghihon e Pison. Per contro i
movimenti politici o culturali dei Siri giacobiti, ma anche dei Maroniti e del Melkiti (si vedano la Syriac
Universal Alliance, il Syriac Union Party, l’Aramean Democratic Organization, l’Aramaean Unity ecc.) hanno
adottato come loro emblema un aureo disco solare alato su un campo rosso e giallo. Si tratta di un simbolo
della regalità che gli Ittiti presero in prestito dall’Egitto faraonico e che trasmisero ai regni aramei anteriori
all’espansione assira.
Da una parte, dunque, si enfatizza, anche iconograficamente, una fittizia tradizione antico assira, dall’altra ci si
rifiuta di identificarsi con l’antico potere invasore e si rivendica il passato della lega aramea antiassira.
A
questo fine, al termine ‘Assiro’ (Assyrian) viene preferita la tradizionale denominazione di Siro (Syriac)
oppure si recupera il desueto appellativo Arameo (Aram(a)ean).
Per quanto riguarda la futura lingua comune della sognata ‘nazione aramaica’ che si vuole ricostituire (“a
United State of Aram in the Middle East”) gli statuti dei singoli partiti sono alquanto reticenti. Si legge per
esempio che «the Aramaic language, the spoken language of Jesus Christ, is the official language of the
Aramaean nation and its future land». Ma quale ‘lingua aramaica’? Gli ‘Assiri’ ovviamente promuovono
come lingua comune la loro koinè letteraria che si è sviluppata nell’Azerbaigian iraniano sulla base del dialetto
(neoaramaico
nordorientale)
di Urmia. Essa è scritta in caratteri aramaici, in un tipico alfabeto siriaco
orientale. I Siri giacobiti, il cui dialetto (neoaramaico
centrale) non è mai stato scritto, propongono al contrario
come lingua comune il siriaco classico, scritto nel tipico alfabeto siriaco occidentale, detto serto, e pronunciato
all’‘occidentale’ ossia con una particolare resa delle vocali diversa da quella in uso in oriente, presso i
Nestoriani e i Caldei. Si ripropone così una diglossia di tipo arabo. Nel parlato si usi il dialetto aramaico locale,
nello scritto ci si valga della lingua della liturgia e dell’antica letteratura. Il sogno è quello che la lingua scritta
venga un giorno adottata anche come lingua parlata quotidiana. Un progetto ambizioso di questo genere è a
nostro avviso irrealizzabile. Le lingue ufficiali di entità politiche territoriali sono notoriamente degli ex dialetti
che hanno avuto alle spalle la potenza persuasiva di un esercito o semplicemente di un movimento armato non
ancora ufficialmente riconosciuto. Con grande realismo in Svezia, per le scuole elementari dei figli degli
immigrati giacobiti, il governo ha deciso di non servirsi del siriaco classico e di promuovere invece a lingua
scritta il dialetto neoaramaico
centrale. Parte del materiale scolastico è stato redatto in questa nuova lingua,
che viene scritta in caratteri latini.
4. Proprio a Mardin, che è una città d’arte della Turchia sudorientale,
quasi al confine con la Siria, e che è opposizione ad arabo Āthūrī, persiano Āsūrī e russo Aysor “Siro di Mesopotamia”. È un fatto, comunque, che
attualmente nelle lingue europee, dal russo all’inglese, il termine equivalente ad (antico) Assiro viene
comunemente impiegato anche per designare quella relativamente grossa porzione di Siri che rivendicano un
glorioso passato imperiale, quello appunto degli antichi Assiri. I nuovi ‘Assiri’ approfittano di questa
ambiguità terminologica per proporre una loro narrazione nazionalistica e per rivendicare i propri diritti
politici e culturali.
Anche l’aggettivo ‘caldeo’ ha una storia relativamente recente, poiché è stato motivato dall’esigenza di
distinguere con un antico nome mesopotamico, nobilitato dall’essere citato nell’Antico Testamento, il ramo
della Chiesa dell’Oriente che si è unita a Roma. Attualmente, sotto la spinta dei movimenti politici ‘assiri’ di
matrice confessionale nestoriana, la Chiesa Cattolica Caldea ha assunto nella diaspora la denominazione di
‘Chiesa Cattolica di Rito AssiroCaldeo’.
3. Fatta questa premessa, è opportuno rilevare quanto divergano tra di loro la narrazione identitaria dei Siri
nestoriani da quella dei Siri giacobiti, per quanto i movimenti politici che li rappresentano condividano gli
stessi obbiettivi. Questi sono: riunire gli arameofoni cristiani del Medio Oriente e della diaspora, superando le
tradizionali divisioni confessionali; preservarne il patrimonio linguistico e culturale contro il tentativo dei
governi di assimilarli (arabizzazione, turcizzazione, curdizzazione, islamizzazione), e adoperarsi al fine di
realizzare in Medio Oriente l’utopia di un’entità territoriale autonoma per gli arameofoni.
La differenza tra i Siri nestoriani, ovvero gli ‘Assiri’, e i Siri giacobiti appare già evidente nei simboli in cui
essi si riconoscono. Gli ‘Assiri’ si sono ovviamente confezionati una bandiera nazionale ispirata all’antica
ideologia imperiale assira: un piccolo globo d’oro inserito in una stella blu a quattro punte, rivolte verso i punti
cardinali, al centro di un campo bianco. Dal globo, rivolti verso i punti cardinali intermedi, si sciolgono quattro
nastri blubiancorossi
che simboleggiano i mitici quattro fiumi Tigri, Eufrate, Ghihon e Pison. Per contro i
movimenti politici o culturali dei Siri giacobiti, ma anche dei Maroniti e del Melkiti (si vedano la Syriac
Universal Alliance, il Syriac Union Party, l’Aramean Democratic Organization, l’Aramaean Unity ecc.) hanno
adottato come loro emblema un aureo disco solare alato su un campo rosso e giallo. Si tratta di un simbolo
della regalità che gli Ittiti presero in prestito dall’Egitto faraonico e che trasmisero ai regni aramei anteriori
all’espansione assira.
Da una parte, dunque, si enfatizza, anche iconograficamente, una fittizia tradizione antico assira, dall’altra ci si
rifiuta di identificarsi con l’antico potere invasore e si rivendica il passato della lega aramea antiassira.
A
questo fine, al termine ‘Assiro’ (Assyrian) viene preferita la tradizionale denominazione di Siro (Syriac)
oppure si recupera il desueto appellativo Arameo (Aram(a)ean).
Per quanto riguarda la futura lingua comune della sognata ‘nazione aramaica’ che si vuole ricostituire (“a
United State of Aram in the Middle East”) gli statuti dei singoli partiti sono alquanto reticenti. Si legge per
esempio che «the Aramaic language, the spoken language of Jesus Christ, is the official language of the
Aramaean nation and its future land». Ma quale ‘lingua aramaica’? Gli ‘Assiri’ ovviamente promuovono
come lingua comune la loro koinè letteraria che si è sviluppata nell’Azerbaigian iraniano sulla base del dialetto
(neoaramaico
nordorientale)
di Urmia. Essa è scritta in caratteri aramaici, in un tipico alfabeto siriaco
orientale. I Siri giacobiti, il cui dialetto (neoaramaico
centrale) non è mai stato scritto, propongono al contrario
come lingua comune il siriaco classico, scritto nel tipico alfabeto siriaco occidentale, detto serto, e pronunciato
all’‘occidentale’ ossia con una particolare resa delle vocali diversa da quella in uso in oriente, presso i
Nestoriani e i Caldei. Si ripropone così una diglossia di tipo arabo. Nel parlato si usi il dialetto aramaico locale,
nello scritto ci si valga della lingua della liturgia e dell’antica letteratura. Il sogno è quello che la lingua scritta
venga un giorno adottata anche come lingua parlata quotidiana. Un progetto ambizioso di questo genere è a
nostro avviso irrealizzabile. Le lingue ufficiali di entità politiche territoriali sono notoriamente degli ex dialetti
che hanno avuto alle spalle la potenza persuasiva di un esercito o semplicemente di un movimento armato non
ancora ufficialmente riconosciuto. Con grande realismo in Svezia, per le scuole elementari dei figli degli
immigrati giacobiti, il governo ha deciso di non servirsi del siriaco classico e di promuovere invece a lingua
scritta il dialetto neoaramaico
centrale. Parte del materiale scolastico è stato redatto in questa nuova lingua,
che viene scritta in caratteri latini.
4. Proprio a Mardin, che è una città d’arte della Turchia sudorientale,
quasi al confine con la Siria, e che è anche il capoluogo del governatorato un tempo più densamente popolato da arameofoni giacobiti, ha avuto
luogo dall’8 al 12 ottobre 2008 un “Convegno della Lingua Siriaca” (Syriac Language Conference; Lummada
dLeshshana
Suryaya così
suona in siriaco classico), che si è proposto come un’occasione d’incontro e di
dialogo tra le diverse componenti autoctone del dibattito sulla futura lingua comune. Di questo congresso
‘siriacistico’ la comunità internazionale degli studiosi di lingue semitiche è venuta a conoscenza solo qualche
mese prima. Ne è stato il promotore un centro culturale che raccoglie sia ‘Assiri’ che ‘Caldei’ iracheni,
chiamato in siriaco Beth Mardutha “Casa della Cultura”. Esso ha sede a Duhok, capoluogo della provincia più
settentrionale dell’Iraq, nella parte nordoccidentale
del Kurdistan iracheno. Era la prima volta che la Beth
Mardutha si lanciava in un’iniziativa internazionale varcando il confine dell’Iraq. La prima edizione del
convegno è avvenuta nel 2005 proprio a Duhok; la seconda nel 2006 ad Erbil, capoluogo del Kurdistan
iracheno; la terza edizione l’anno successivo di nuovo a Duhok. Il convegno di Mardin era dunque il quarto.
Data la benevola accoglienza riservata dal governo turco all’iniziativa e la notevole affluenza di partecipanti
anche dai paesi della diaspora, si prevede di organizzarne le future edizioni ancora all’estero, se possibile in
Europa o negli Stati Uniti. Hanno risposto all’invito del convegno di Mardin una quarantina di intellettuali e di
docenti universitari di madrelingua aramaica provenienti non solo dalla Turchia, la Siria, il Libano e l’Iraq, ma
anche da vari Paesi dell’Europa (Francia, Gran Bretagna, Germania, Paesi Bassi, Svezia) nonché dagli Stati
Uniti d’America, dal Canada e persino dall’Australia. Gli studiosi occidentali presenti erano solo cinque: due
dalla Gran Bretagna, due dai Paesi Bassi e uno dell’Italia.
Le relazioni vertevano quasi esclusivamente su argomenti di grammatica, di lessicografia e di glottodidattica
riguardanti tanto il siriaco classico quanto il neoaramaico
di Urmia. I relatori o leggevano testi redatti in
siriaco classico o parlavano a braccio nel proprio dialetto, che, per lo più, era il neoaramaico
di Mardin o
quello di Urmia. Forti erano le differenze tra la pronuncia del siriaco classico in uso tra i Giacobiti e quella
praticata dai Nestoriani e dai Caldei. Gli unici che hanno usato l’inglese per la loro comunicazione sono stati i
cinque studiosi europei di cui si è detto. La lingua turca veniva invece riservata ai saluti e ai ringraziamenti di
rito alle autorità governative presenti, mentre l’arabo fungeva da lingua ponte tra parlanti di dialetti
mutuamente incomprensibili. Alto valore simbolico ha avuto il fatto che i momenti più salienti del convegno
fossero ‘coperti’ dalla Ishtar Broadcasting Corporation, la televisione ‘assira’ con sede ad Erbil, Kurdistan
iracheno.
Stupiva la presenza al convegno di un nutrito gruppo di siriacisti arabi musulmani, di confessione sciita,
provenienti dalle università di Bagdad e di Diwaniya. Avevano un’eccellente preparazione in siriaco classico
grazie all’insegnamento di un docente iracheno di confessione cristiana giacobita. Sembrava invece che
ignorassero totalmente le varietà di neoaramaico
parlate o scritte. Altrettanto sorprendente è stata la presenza,
in verità passiva, di membri della comunità etnica dei Muhallamiye (sing. Muhallami). Rappresentano una
minoranza musulmana sunnita di lingua araba, ma assolutamente aliena dall’arabismo, tanto che i suoi membri
in Germania e altrove in Europa dove sono emigrati vengono definiti ‘ArabiCurdi’.
Vivono nel governatorato
di Mardin e sono i discendenti degli arameofoni cristiani del luogo che in tempi lontani hanno abbracciato
l’Islam. Con gli antichi correligionari essi mantengono con discrezione rapporti di familiarità e di
collaborazione.
Malgrado il viale del grand’albergo che ospitava il convegno e l’albergo stesso fossero tappezzati da coloriti
manifesti trilingui (turco, siriaco e inglese) contenenti saluti, appelli e slogan tipo “Benvenuti cari ospiti nella
patria della lingua siriaca”, “La nostra lingua comune è il sentiero verso la nostra unità”, “Gli eredi della lingua
siriaca devono custodire la lingua di Nostro Signore Gesù (su di Lui la pace!) e diffonderne il ricco
patrimonio”, “Il siriaco è una lingua profonda come il mare e fluida come un fiume”, e nonostante il convegno
stesso avesse come motto “Una lingua nazionale unita e unificante”, la dichiarazione conclusiva di questo
evento è stata alquanto deludente. Con difficoltà si è trovato qualcuno che fosse disposto a redigerla e a
discuterne il contenuto. Alla fine non è stata proposta nessuna ‘lingua unita e unificante’ per la ‘nazione
aramea’; si è anzi evitato di discutere dei pregi o dei difetti dell’una o dell’altra opzione. Si è avuto però modo
di dimostrare quanto attenti siano gli intellettuali delle comunità cristiane di lingua aramaica del Medio Oriente
e della diaspora alla questione della lingua quale fattore decisivo per la salvaguardia della loro identità
culturale. Si è constatato comunque che sono gli ‘Assiri’ la comunità più motivata e più preparata
culturalmente per affrontare il futuro, grazie anche al fatto di disporre di una lingua scritta comune, la
cosiddetta koinè neoaramaica di Urmia.




Bibliografia
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Khoshaba, Sh.I. (2009). The Volume of the 4th Syriac Language Conference. Duhok: Beth Mardootha.
Mengozzi, A. (2003). “Chiese cristiane nel Kurdistan”, “Gli assiri d’America” e “Breve profilo delle letterature neoaramaiche cristiane”. In: GALLETTI 2003: 35-58,
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MurreVanden Berg, H.L. (1999). From a Spoken to a Written Language. The Introduction and Development of Literary Urmia Aramaic in the Nineteenth Century. Leiden: Pubblication of the “DeGoeje Fund” no. 28 (Slightly reworked edition of PhD Leiden 1995).
Pazzini, M. (1999). Grammatica siriaca. Jerusalem: Franciscan Printing Press.
Tsereteli, K.G. (1970). Grammatica di Assiro Moderno, revisione scientifica di Fabrizio A. Pennacchietti.
Napoli: Istituto Orientale di Napoli.

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